Quanto avevamo ipotizzato sui costi unitari della tratta T2 (Fori Imperiali-Colosseo/Clodio-Mazzini) un anno e mezzo fa (circa 450 M€/km) si è purtroppo concretizzato in anticipo per la tratta T3 (S. Giovanni/Fori Imperiali-Colosseo).
Il recente stanziamento del CIPE di ulteriori 253 M€, che
vanno a sommarsi ai 790 M€ precedentemente stanziati, per un totale di 1.045
M€, anche se formalmente viene imputato alla rimodulazione sulle tratte già
costruite, di fatto appartiene tutto alla tratta ancora da costruire, visto che
se non ci fosse stato i cantieri per questa non sarebbero mai partiti (e per la
verità devono ancora partire).
Con questa cifra il costo chilometrico della tratta T3,
lunga poco più di 2 km ,
si attesta attualmente sui 425 M€/km. Se questo costo fosse mantenuto, per
completare la linea per i restanti 4,5 km della tratta T2, sarebbero necessari
altri 1.900 M€, all’incirca il triplo di quanto previsto nel bando di gara.
A questo punto vale la pena chiedersi se siano necessarie
simili folli cifre per realizzare un progetto, che se non sarà completato nella
sua interezza, rimarrà senza né capo né coda.
E questa è più di una ipotesi visto che sarà molto difficile
trovare chi avrà il coraggio di aprire la stazione di S. Giovanni con la linea ancora li attestata (o anche al Colosseo) e quindi senza sbocco oltretevere, verso S.
Pietro o in Prati, conscio del serio rischio di far collassare definitivamente
la già sottodimensionata linea A, sotto il carico dei nuovi flussi casilini
diretti verso Termini ed oltre.
E’ pure ragionevole chiedersi come mai proprio a Roma si
raggiungano questi livelli di spesa che non hanno paragoni a livello mondiale.
La risposta che Roma sia unica al mondo per la presenza di
uno strato archeologico senza pari regge fino ad un certo punto.
Piuttosto bisognerebbe chiedersi se le tecniche di
costruzione finora adottate, soprattutto quando si affronta la perforazione di
questo strato in corrispondenza delle stazioni, siano le più consone per non
raggiungere certi livelli di spesa e non siano, al contrario, le più adatte proprio
a giustificarli.
Attualmente la costruzione delle stazioni nelle tratte
centrali, ove la presenza dello strato archeologico è ineludibile, sembra essere
diventato il maggior centro di costo di tutta l’opera (tant’è che molte
stazioni previste nel progetto iniziale della C sono state via via soppresse, per
i costi eccessivi di scavo, facendo assomigliare sempre di più la linea ad un
passante ferroviario).
Al contrario lo scavo delle gallerie in profondità sembra essere
ormai diventata invece un’attività secondaria, visto che con le moderne TBM il
processo è quasi completamente automatizzato e scorre sempre spedito e senza
troppi intoppi (al riguardo si pensi al fatto che le “talpe” sono giunte a S.
Giovanni ormai da molti mesi con la stazione che invece è ancora al di là da
venire).
Ma non si potrebbe semplificare l’architettura delle
stazioni, evitando decine di scale mobili, su decine di mezzanini, con corridoi
di accesso all’atrio d’ingresso, posto sotto il livello stradale, e quindi
proprio nel mezzo dello strato archeologico, ramificati a raggiera e lunghi
centinaia di metri?
E visto che Roma non può permettersi una metropolitana semi-superficiale di tipo gugliemino con le stazioni sotterranee di modello
tramviario (un’unica piattaforma centrale con due sole scale di accesso, agli
estremi della medesima, costituite da una sola rampa, che si imboccano da un
marciapiede al centro della carreggiata stradale) non si potrebbe pensare a
qualcosa di alternativo, molto più semplice e razionale, che sicuramente
farebbe sgonfiare i costi, portandoli a livelli di decenza, comparabili con
quelli che si raggiungono a livello internazionale?
Per l’accesso alle stazioni, e quindi per la perforazione
dello strato archeologico, non si potrebbe prendere ispirazione da qualcuno al
quale era già stato posto un problema quasi analogo circa cinquecento anni or
sono e che lo risolse molto brillantemente?
Per esempio da Antonio da Sangallo il Giovane (1484-1546),
al quale Clemente VII aveva chiesto una soluzione per approvvigionarsi di acqua
a 53 metri
di profondità e alla quale l’architetto fiorentino aveva risposto con una
struttura a doppia rampa elicoidale interlacciata, di 13 metri di diametro, in
modo che chi andava a prenderla in fondo al pozzo non incontrasse mai chi
l’aveva già presa (esattamente la medesima situazione che si incontra in una
stazione della metropolitana ove chi scende per prenderla non dovrebbe mai
incontrare chi sale perché l’ha già presa).
Per le stazioni profonde si potrebbe invece prendere
ispirazione dal più recente modello sovietico (poi forzatamente esportato in
tutte le capitali dell'allora blocco di Varsavia) che prevedeva sempre una
configurazione standard, con due canne laterali di corsa per i treni e le
piattaforme di imbarco dei passeggeri ed una centrale parallela, di sezione
maggiorata, a mo’ di vestibolo di stazione, intercomunicanti tutte fra loro
attraverso ulteriori canne trasversali di sezione minore.
In questo modo tutte le stazioni centrali potrebbero essere
ubicate in corrispondenza di una piazza, al centro della quale potrebbe essere
posta la canna unica discendente alla maniera del Sangallo, di circa 35 metri di diametro (per
garantire i giusti flussi pedonali di andata e ritorno) che andrebbe ad
intercettare quella profonda centrale di vestibolo, alla sovietica.
I vantaggi di questa soluzione assai prussiana potrebbero
essere molteplici:
-
la perforazione dello strato archeologico avverrebbe in
un unico punto per stazione,
-
tutti i processi di scavo si risolverebbero in
perforazioni circolari orizzontali o verticali, di vario diametro, che risultano essere
le più semplici da realizzare,
-
durante i lavori l’area di cantiere coinciderebbe
perfettamente con l’area della stazione definitiva,
-
se la stazione non fosse molto profonda questa potrebbe
essere raggiunta anche dalla luce solare.
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